Nel vano tentativo di infilare qualche concetto in quelle zucche vuote che vi ritrovate, cercherò di spiegarvi uno dei pochi concetti utili e interessanti che la filosofia abbia partorito, ovvero la dialettica.
Quindi, cos'è la dialettica? Senza farci le pippe coi termini greci, è essenzialmente il metodo filosofico che invece di separare gli opposti (bene e male, bianco e nero, la mia intelligenza e la vostra stupidità) li mette in rapporto tra di loro. Ciò può essere sintetizzato dalla frase di Hegel "Essere e nulla sono lo stesso" o la tesi sempre hegeliana della complementarità degli opposti. Attraverso l'incontro tra opposti si ha la contraddizione. Questa non è intesa come contraddizione in atto come pensate voi scimuniti. Quando si parla di contraddizione in atto si intende che ad esempio i due assunti "Voi fate schifo" o "Voi non lo fate" possono essere entrambi veri, cioè simultaneamente e allo stesso tempo. In questo caso si tratta di contraddizione in atto. Quella che intende Hegel è invece contraddizione in divenire. Ovvero, attraverso la contraddizione ogni opposto trapassa nel suo altro. Così dalla morte nasce vita, dall'ignoranza l'intelligenza e dal bisogno di figa la figa stessa.
Con questo Hegel risolve brillantemente le fuffate della metafisica e la manda in soffitta. Infatti per millenni sti perdigiorno con la barba bianca avevano cercato un fondamento ultimo sopra al quale fondare la conoscenza e avevano fallito miseramente, producendo solo una serie di vuote ciarle e vaneggiamenti senza senso. Hegel invece scopre che il fondamento stesso della realtà non si trova cercando un fondamento perfetto, senza macchia, il famoso Essere benigno e buono sopra il quale fondare ogni moralità e saggezza, ma che il fondamento è immanente alla realtà stessa, è lo scontro tra opposti, è la realtà nel suo muoversi e nel suo divenire.
Engels aveva ben chiaro questo punto, come scrive nel "Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca":
"Ma la vera importanza e il carattere rivoluzionario della filosofia hegeliana [...] consistevano appunto nel fatto che essa poneva termine una volta per sempre al carattere definitivo di tutti i risultati del pensiero e dell'attività umani."
Ora, questa mia ricostruzione dei fatti non la ritroverete in nessun manuale di filosofia. Gli attacchi scomposti e rabbiosi di quasi tutti i filosofi contro Hegel lo dimostrano. I filosofi non vogliono far sapere in giro che Hegel ha definitivamente mandato in soffitta i filosofi 200 anni orsono e tentano di rifarsi e rivendersi nei modi più disparati: cucina pop-filosofica, presenzialismo televisivo, culto del Grande Altro, libri incomprensibili. Infatti, non si trova oramai neanche un filosofo che non dica cose già contenute in Hegel o nei suoi predecessori, fatte eccezione per Nietzsche e tutta la schiatta dei suoi epigoni, anche se la sua è una filosofia regressiva e reazionaria che non ha apportato alcun progresso al pensiero ma solo un regresso irrazionalistico.
Torniamo dunque alla nostra dialettica. Hegel insomma ha scoperto e approfondito il metodo dialettico, che è comunque presente e conosciuto già prima di lui ma mai è stato formalizzato con tanta precesione. Il problema di Hegel è che non riesce a superare la filosofia, ma deve pensare la sua dialettica come un processo di accrescimento dello Spirito. Così nella Scienza della Logica all'inizio abbiamo le rappresentazioni confuse dell'essere che piomba nel nulla e viceversa. Ed è qui che entra in gioco la negazione della negazione. Infatti ogni negazione di qualcosa non si risolve in nulla, ma nel ritorno della cosa che nega in se' stessa e quindi di una riaffermazione della sua identità. Attraverso la negazione, cioè la determinazione di un altro da se', la cosa si conferma nella sua identità. Quindi attraverso la negazione della negazione e per vari passaggi si arriva dal puro Divenire al vero Essere, inteso come concettualità.
Qui c'è credo l'errore principale di Hegel, che è determinato da limiti storici e umani. Hegel infatti non concepisce la dialettica nella sua applicazione alle forze produttive, alla natura e ai complessi avvenimenti umani come avviene con Marx. La pensa invece come un processo di astrazione in cui si parte dalle opposizioni del Divenire, o a quelle della coscienza, riproverando, spesso non a torto, a Kant di non averle risolte ma di esserci rimasto invischiato ( si parla delle famose antinomie ). Da qui però solo la coscienza attraverso la Ragione può mettere ordine nel reale, comprendendolo attraverso il Concetto, che si sostanzia nell'Idea (che è la contraddizione risolta in se stessa). Dunque alla fine ritorniamo sempre lì.
So che voi non avrete capito una mazza. Certo Hegel non è sempre facilmente comprensibile, ma sempre meglio di leggere le masturbazioni di Nietzsche di cui voi sarete appassionati. In pratica, la filosofia hegeliana fa grandi passi avanti nella chiarificazione della dialettica, ma è ancora invischiata in limiti oggettivi del suo tempo. Poi per fortuna arriva Marx, prende per il culo gli speculatori che si richiamano ad Hegel non capendo che lui manda in soffitta i filosofi, non pubblica manco il libro in cui li sfotte perché sarebbe una fuffata da filosofi e decide invece di mettersi a studiare insieme ad Engels come funziona il capitalismo.
Marx avrebbe voluto dedicarsi alla formulazione di una Logica che trattasse il problema della dialettica. Il problema è che non ha avuto tempo e alla fine è morto prima di realizzarla. Engels si dedica parzialmente al problema e ci riesce abbastanza magistralmente. Nell'Antiduring, Engels ridicolizza uno degli ennesimi parolai metafisici e nel farlo chiarifica numerosi problemi della dialettica. Certo, il testo risente di posizioni e dibatti dell'epoca ma ha comunque un grande valore.
Nel testo per esempio Engels chiarifica che la dialettica deve essere materialista, altrimenti si finisce nel misticismo di Hegel o peggio. Ciò comporta una concezione scientifica e realista della realtà, nella quali le leggi di essa possono essere conosciute e fatte proprie dall'uomo. Questi elementi erano già presenti in Marx, che infatti approva e commenta positivamente il libro di Engels, ma lo erano in forma sparsa e senza sistematicità.
La cosa interessante di questo testo di Engels è che anch'esso ha una forma dialettica, nel senso che è scritto a partire da una polemica col sedicente filosofo socialista During, e a partire dalla critica spesso molto caustica e sarcastica contro di lui si delineano le posizioni del materialismo dialettico. Inoltre Engels introduce per la prima volta la distinzione tra idealismo e materialismo, a cui riduce l'intera storia della filosofia. Il materialismo dialettico di Engels sarebbe l'evoluzione delle antiche teorie materialiste e atomiste di Democrito e Epicuro, andando avanti fino ai materialisti francesi dell'Ottocento. Il problema di queste teorizzazioni del materialismo è che sono ancora metafisiche, nel senso che pongono la verità del materialismo ma in maniera astorica e speculativa. La dialettica di Hegel permette di illuminare e concretizzare questo vecchio materialismo, ovviamente togliendogli la scorza idealista e speculativa.
Il primo che compie questo tentativo è il filosofo tedesco Feuerbach, esponente di sinistra della filosofia hegeliana, il quale è citato da Marx e Engels con un favore molto maggiore rispetto agli altri filosofi di questa corrente, che sono trattati con disprezzo e sarcasmo (non del tutto ingiustificato...). Il problema di Fuerbach è che pur saldando la dialettica hegeliana con il materialismo, rimane su posizioni essenzialmente speculative e non è così in grado di superare del tutto l'idealismo, rimanendo dentro categorie astoriche. Il materialismo storico di Marx e Engels permette di superare le secche di questi pensatori. A differenza loro, il metodo dialettico viene applicato alle concrete forme storiche materiali. Inoltre le posizioni puramente speculative devono trovare la loro concretezza nella realtà storica effettiva, non rinchiudersi in prospettive separate dall'ambito della prassi. Da qui la famosa frase sui filosofi che avrebbero solo interpretato il mondo, senza cambiarlo.
Con ciò, la dialettica impastata di metafisica di Hegel trova la sua conclusione dialettica nel pensiero marxista, materialista e dialettico, un pensiero nel quale teoria e prassi sono tenute costantemente in rapporto e che mette la parola finale su qualsiasi prospettiva professorale e accademica. Infatti le prospettive dei professori di filosofia sul marxismo non possono che ricondurlo nell'alveo di una concezione idealistica, data la loro posizione all'interno delle istituzioni borghesi. Inoltre spesso i professori di filosofia, salvo rari casi eccezionali, sono separati dalla prassi concreta delle masse mentre sono inseriti nello star system accademico. Tendono quindi a convertire il marxismo in marxologia, a separare il pensiero di Marx da qualsiasi prassi emancipativa reale per condurlo nel campo della speculazione e della filologia. Questa loro prospettiva permette a questi professori e filosofi di avere onorate carriere all'interno del sistema accademico, in quanto il loro Marx imbellettato e reso innocuo è completamente digeribile dal sistema. Questo è per esempio il caso della Scuola di Francoforte, i cui esponenti hanno insegnato in prestigiose università tedesche e americane, lavorando a stretto contatto con la Fondazione Rockfeller e diffondendo una versione nichilistica e nietzschiana del marxismo tendente alla disperazione e al solipsismo.
Anche oggi questi ciarlatani infestano le università. In alcuni casi difendono un marxismo molto più hegelianizzato e spesso in questi casi le loro riflessioni e le loro azioni possono anche non essere completamente in linea col sistema e anche opporsi ad esso. Anche se quelli che hanno più successo sono i marxiologi allineati alla filosofia della differenza e al nichilismo di Nietzsche, come ad esempio Toni Negri, Zizek e i vari epigoni del postmoderno. Questa filosofia, ispirata alle farneticazioni reazionarie di Nietzsche e Heidegger, ma con una copertura "desinistra", è passata dal sostenere il Fuhrerprinzip ad andare appresso alle monadi desideranti del neoliberismo.
Come sono distanti da questa prospettiva le teorie e filosofie veramente rivoluzionarie dei maggiori esponenti del marxismo-leninismo. In Castro, Stalin, Lenin, Kim Il-Sung, Mao le teorie cessano di essere semplici farneticazioni solipsistiche sul bene del Mondo, sulla Verità, sulla Bellezza e tutta quella paccottiglia per saldarsi invece con movimenti reali, con veri processi rivoluzionari e, soprattutto, esprimendo la punta avanzata di movimenti di emancipazione di massa.
Il marxismo è l'unica filosofia che è riuscita ad uscire dalle polverose aule universitarie per saldarsi con i problemi reali delle persone, quel senso comune così invocato da molta filosofia ma senza mai la sua vera presenza.
Voi vi starete chiedendo: cosa c'entra tutto ciò con la dialettica? C'entra, e il fatto che non l'abbiate capito indica la vostra incapacità di pensare dialetticamente (è già tanto che vi abbia attribuito una capacità di pensare, ringraziate!). Questo di cui ho parlato è il punto fondamentale che separa la vera dialettica materialista e marxista dalla dialettica speculativa e professorale dei filosofi-filologi. Su un testo di Marx il professore filologo si mette a fare l'analisi delle paroline e dei significati per ricostruire il "vero Marx" contro le "deformazioni" del materialismo dialettico. Nessun accenno alla prassi reale concreta in cui Marx è calato rispetto alla prassi in cui si sviluppa il marxismo-leninismo. Nessun accenno alle condizioni reali in cui quel testo si manifesta e cosa ci sta dietro. Solo dotta glossologia, che riduce Marx ad un semplice filosofo le cui tesi possono essere rifiutate o accettate educamente prendendo eccletticamente qualche tesi di qualche altro dotto filosofo, da Platone, da Kant ecc.
Torniamo dunque alla teoria. La dialettica materialista riprende e anzi accentua la contraddizione già presente nella dialettica hegeliana. Ma se nella dialettica hegeliana la contraddizione viene risolta e domata attraverso la negazione delle negazione in cui ogni cosa negata viene riassorbita e fatta propria dallo Spirito, dal Soggetto, dalla Ragione, nella dialettica materialista vi è si contraddizione (delle forze produttive, di classe, naturali ecc.) ma la negazione della negazione acquisisce una diversa funzione. Non è infatti frutto dell'automovimento dello Spirito, le cui contraddizioni interne si risolvono tutte nello Spirito Assoluto (termine che indica lo Spirito, cioè l'uomo, la coscienza, giunto alla piena consapevolezza di se', al fatto di essere tutta la realtà) ma del movimento delle forze storiche, sociali, materiali, che opponendosi al loro opposto giungono ad una sintesi.
Capisco che queste frasi possano suonare complesse, soprattutto per degli ignoranti come voi. In realtà la cosa è più banale di quanto il linguaggio hegeliano non la voglia far sembrare. E' in realtà un procedimento che si può ritrovare praticamente in ogni scibile del reale. Un esempio è la transizione al socialismo. Il comunismo nega il capitalismo, ma lo nega conservando le sue forze produttive e mettendole in un altro contesto. In poche parole per affermarsi il comunismo deve negare il capitalismo, ma il risultato non è solo una negazione (io distruggo il capitalismo) ma una negazione della negazione, cioè una sintesi (il capitalismo negato produce il socialismo). La negazione della negazione è in pratica il procedimento attraverso il quale da una negazione determinata si produce un risultato, ovvero una sintesi. Io nego il mio avversario, ma negandolo produco il mio proprio pensiero (sintesi). Questo riprende l'idea della compenetrazione degli opposti, ovvero che ciò che nego, ciò che contraddico sta in rapporto produttivo, dialettico, con me. In Hegel questa è la forma base dell'identità: negando che io sono quell'altro produco la mia identità (ovviamente ciò non avviene per volontà!). La consapevolezza di questo rapporto tra opposti è fondamentale. Se io per esempio considero l'intera società peccaminosa e mi rifiuto di averci a che fare non sto comprendendo la dialettica, ma attuo una negazione astratta, una semplice differenziazione. Dicendo che tutto è male non mi pongo in rapporto dialettico con la realtà, e soprattutto non vedo il rapporto dialettico che mi lega in maniera necessaria a questa società e mi impone di averci a che fare, individuandovi delle contraddizioni determinate sulla quale far leva, nelle quali inserirmi.
Un campo di applicazione della dialettica potrebbe essere il rapporto vita e morte. Molti filosofi nichilisti accentuano il carattere mortifero della realtà, ovvero il fatto che la vita sta di fronte alla morte come un abisso, che la morte è la fine di ogni cosa. Feuerbach intravvede bene questo problema quando parla della religione che aliena l'essenza umana in un altro ultraterreno, in cui l'uomo pone tutto se stesso. Una considerazione dialettica permette di offuscare qualsiasi dubbio in proposito. Fatevi una domanda: se le cose stanno così, ci sarà un motivo per il quale stanno così? Non parlo di ciò che può essere modificato dall'azione umana, ma di fatti come la morte che sono per molti una tragica necessità paralizzante. Tutti prima o poi dobbiamo morire ed è naturale che, avendo in noi un'istinto animalesco alla sopravvivenza, vediamo questo atto come qualcosa di negativo. E' normale che questo sentimento ci sia, altrimenti non potremmo conservarci, non potremmo vivere senza la paura di essere annientati. Ma il fatto che noi muoriamo non deve essere posto come una fine. Di per se' non esiste né inizio né fine nell'Universo. Tutto costantemente muta e si modifica. E quindi la morte non è la fine, ma l'inizio di qualcos'altro. Cessa la nostra coscienza ma non il nostro far parte del reale. Che noi inceneriti si diventi parte del terreno o che si venga divorati dai vermi, ciò è un atto che ci rende parte del tutto, una negazione che genera qualcos'altro, così noi diverremo parte di altri organismi. Diverremmo parte della natura, parte di altro, così come noi stessi siamo stati generati da questo altro. C'è una bella frase di Eraclito in proposito:
"Agli uomini attende dopo la morte quello che non si aspettano né immaginano." (frammento 113)
Eraclito è uno dei primi fondatori della dialettica. E lui che per primo comprese che la realtà è frutto di uno scontro perenne tra opposti. Questa frase di Eraclito, molto sibillina e oracolare come nel suo stile, può essere compresa nel seguente modo: gli uomini si aspettano dalla morte la fine di tutto, esattamente come i Greci che si aspettavano una dannazione infinita a vagare disperatamente nell'aldilà, la proiezione di un'idea angosciante e terribile della morte; Eraclito spiega che questa idea è assurda, che la realtà è fuoco che costantemente brucia e purifica (cioé diviene e muta continuamente) e che quindi non ha senso dannarsi e disperarsi per una cosa che è necessaria ai fini della vita e della ragione che la governa.
Dunque la dialettica ritiene che l'intera realtà si muova secondo nessi necessari. Certo vi è spazio per l'azione umana, checcé ne dicano certe assurde accuse di determinismo, ma questa libertà è basata appunto sulla conoscenza di queste nessi necessari, sul trovare una propria collocazione all'interno di essi. Fu Hegel che capì per primo che libertà e necessità sono la stessa cosa. In particolare Hegel stigmatizza l'anima bella che riesce a concepire solo un'idea astratta di libertà, ponendosi in un'idea puramente soggettiva di libero arbitrio senza porlo in correlazione con le necessità del proprio periodo storico. In particolar modo la morale kantiana, con la sua idea di imperativo categorico, è un'idea astratta di moralità, in quanto prevede che gli atti morali siano compiuti a prescindere da qualsiasi contesto e solo per un'idea astratta e astorica di bene. Comprendere invece di trovarsi all'interno di nessi necessari permette di fare scelte morali, che magari non sono sempre specchiate e limpide come quelle dell'anima bella kantiana ma si pongono in un rapporto reale e concreto con la realtà. Così per esempio il proletariato deve compiere il male della violenza rivoluzionaria per raggiungere il bene del socialismo. Ciò è assolutamente distante da qualsiasi idea cinica della politica, in quanto questa prevede che la morale non esista e che per ottenere i propri scopi sia necessario sempre compiere il male. Per la dialettica bene e male si compenetrano, dunque per compiere il bene bisogna collocarlo nel concreto rapporto dialettico col male. Gramsci comprese questo rapporto quando disse che il Partito è il moderno Principe (di Macchiavelli).
Hegel capisce che è difficile per molti vederla in questo modo. La coscienza, dice, procede per contraddizioni. E questo per Hegel è necessario, perché lo Spirito si produce per auto-contraddizione. Il problema è che molti si fermano a queste opposizioni. Come ad esempio Kant, che rimane all'interno delle opposizioni della coscienza. Ad esempio quando pone il Soggetto Trascendentale e una realtà fuori di lui inconoscibile. Così interno ed esterno non stanno in un rapporto dialettico, ma di semplice opposizione. In tal modo la coscienza è posta nella sua finitezza di fronte ad un reale che non può mai conoscere se non attraverso i limiti della sua soggettività. Oltre a Hegel, anche Lenin si scaglia contro questa concezione in "Materialismo ed Empiriocriticismo". Infatti nel processo conoscitivo, quella che era una cosa in se' diventa una cosa per me! D'altronde Hegel risolve brillantemente questo problema nella dialettica finito infinito. Il finito non esiste come separato ma come parte dell'infinito. Il finito si risolve nell'infinito, ovvero nel mutamento. Così quella che per Kant è una coscienza finita, per Hegel è qualcosa di continuamente mutabile e potenzialmente infinito. Non condivido l'idea di Hegel però che la coscienza sia la realtà stessa. Di certo però è essa stessa realtà in quanto parte di essa, in quanto parte del tutto. E quindi immaginarsi un soggetto trascendente che contempla la realtà è errato in cui esso è questa stessa realtà, è inserito dinamicamente in essa. Il finito dunque si risolve nell'infinito. Noi come singoli siamo finiti ma come qualcosa che diviene siamo potenzialmente infiniti, anche morendo.
Attraverso una dialettica correttamente applicata si ottiene un'analisi della realtà molto ricca e sfaccettata. Le pagine di Lenin, Stalin, Mao ma persino dello stesso Hegel, in cui i fenomeni sono affrontati nella loro complessità e dinamicità, costituiscono una pietra miliare del genere. Quanto distanti sono questi scritti dalle analisi dogmatiche, moralistiche, irrigidite in vuoti formalismi, di chi forza la realtà dentro i suoi schemi mentali per impoverirla e banalizzarla. Dei cattedrattici che violentano la realtà con la loro teoria da scribacchini.
Bene, questo è tutto per il momento.